Dal sito napolicittàsociale.it riportiamo l’intervista alla psicologa e psicoterapeuta Annamaria Scapicchio, coordinatrice del gruppo di lavoro sul maltrattamento e l’abuso all’infanzia del Consultorio Familiare di Napoli.
Bambini maltrattati: “Non c’è cura senza un luogo protetto”
A Napoli chiudono le case famiglia, in serie, come fossero negozi, restano fuori, come pacchi i bambini. Svenduto ancora il loro destino già ferito da chi avrebbe dovuto proteggerli. Dei diritti dei bambini vittime di violenza parliamo con Annamaria Scapicchio, psicologa e psicoterapeuta coordinatrice del gruppo di lavoro sul maltrattamento e l’abuso all’infanzia dell’Istituto Toniolo di Napoli che ci spiega come “curare diventa impossibile senza luoghi protetti”.
Come funziona il gruppo del Toniolo che si occupa di maltrattamento e abuso?
Il progetto di contrasto all’abuso di cui sono la coordinatrice prende avvio 17 anni fa, è formato da medici, assistenti sociali, avvocati e psicologi specializzati nell’abuso dell’infanzia che lavorano in modo integrato con la scuola, la giustizia minorile, le case famiglia, la asl. Crediamo che il percorso di cura psicoterapeutica che punta alla ricostruzione dell’emotività e della fiducia in se e negli adulti sia attuabile solo in rete: ciò che si è rotto nelle relazioni umane va riparato attraverso le relazioni, ricostruendo un ambiente sereno intorno al bambino. Questo lavoro di “tutela di rete” rende la nostra metodologia di lavoro unica nel sud Italia ed è una buona prassi che viene presa ad esempio in Italia e in Europa.
Quanti casi riuscite a seguire in un anno?
Abbiamo seguito circa 1000 situazioni in 17 anni di lavoro, 40, 50 casi l’anno. Nell’ultimo anno abbiamo aperto delle liste d’attesa poiché ci pervengono molte richieste, sempre più per nuclei numerosi, in alcuni casi per situazioni gravi che richiedono interventi tempestivi. Ma non siamo in tanti e anche noi stiamo subendo il problema della carenza dei fondi.
Il nostro servizio è finanziato dal Comune di Napoli, e abbiamo affrontato varie interruzioni dovute alle gare d’appalto, continuando a lavorare in modo volontario: come fai a far rinascere la fiducia negli adulti se sospendi la terapia di un bambino?
Il nostro impegno è premiato da tante storie a lieto fine come quelle di bambini che da adulti vengono a trovarci, penso ad una ragazzina vittima di abuso che si è laureata recentemente, ad un’altra che è diventata mamma e oggi porta i suoi bambini dal pediatra del Toniolo. Significa che riconoscono che siamo stati utili per la loro vita.
Siete incaricati dal Tribunale anche per valutare i casi di abuso grave?
Il maltrattamento può andare dall’incuria, alla violenza fisica rappresentata da percosse, morsi, bruciature di sigarette, all’abuso sessuale. Le violenze nella maggior parte dei casi si verificano all’interno della famiglia.
Nei casi in cui c’è il sospetto di trascuratezza grave il bambino è allontanato dai genitori e si apre un provvedimento. Il Tribunale dei Minori ci incarica di valutare i casi di bambini maltrattati per capire se la relazione parentale è minata o se si intravedono possibilità di cambiamento nei genitori e dunque il rapporto si può recuperare. A questa fase di analisi, che dura circa 6 mesi, segue la terapia con il bambino o con il bambino e il nucleo familiare che dura almeno 1 anno.
Oggi a oltre 15 anni dalla legge sulla protezione dei minori in contesto giudiziario, cosa è cambiato?
Con la legge del’96, ma ancor più con la ratifica del 2012 della “Convenzione per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale”, sono state introdotte nel nostro ordinamento giuridico nuove norme per la tutela dei bambini e degli adolescenti che subiscono abusi. Tra queste l’ascolto protetto al di sotto dei 14 anni. Il tribunale di Napoli è stato uno dei primi a realizzare un’aula protetta per l’audizione. Ma è le grandi istituzioni non hanno ancora il pensiero che c’è un bambino che può esercitare un diritto. Molti tribunali, anche in Campania, hanno aule ricavate negli spazi preesistenti privi di caratteristiche adeguate. Non sempre c’è l’ausilio di personale esperto che segua il bambino durante tutto l’iter processuale fin dalla fase preliminare. Inoltre un grande problema è quello dei tempi della giustizia: i bambini restano affidati alle comunità per anni in attesa di provvedimenti Penso al caso di tre bambini di una coppia disturbata che lasciava che un anziano abusasse di loro in cambio di soldi. I bambini sono stati sottratti alla famiglia, ma i genitori si sono rivolti in Corte di Appello che ha confermato l’irrecuperabilità, che noi avevamo diagnosticato. Il bambino più piccolo aveva 3 anni quando è entrato in comunità, oggi ne ha 7 ed è ancora là. Mentre il collocamento in una nuova famiglia è parte essenziale del percorso di cura.
Anche trovare collocazione nelle case famiglia sta diventando difficile…
La situazione è disastrosa. Senza le strutture protette, tutto il lavoro di tutela e cura smette di avere significato.Una delle migliori comunità, gestita dalla cooperativa Irene ’95 a Marigliano chiude; l’Associazione Iniziative Sociale, Seguimi di Barra che prende in carico donne vittime di violenza con i loro bambini ha chiuso. Casa Aurora sta per chiudere. Le comunità che lavorano meglio e quindi hanno un costo per gli operatori specializzati più alto sono costrette a chiudere poiché avanzano crediti insostenibili. Le comunità che non hanno chiuso si rifiutano di accogliere bambini del Comune di Napoli che a causa del dissesto non può pagare.
E a farne le spese sono sempre i bambini…
Il risultato sarà che si faranno molti meno allontanamenti dalle famiglie e che resteranno in piedi le comunità più lontane da Napoli o, ciò che è più grave, quelle che hanno costi di gestione inferiori avvalendosi di personale meno specializzato come i volontari o i giovani del servizio civile che cambiando sempre non possono rappresentare quei punti di riferimento stabili di cui necessitano i bambini. Un altro problema è che un bambino napoletano che viene inserito in una struttura fuori provincia deve abbandonare il suo contesto sociale, quella rete che dicevamo tanto importante, e anche per l’assistente sociale di riferimento e per noi risulta difficile seguirlo.
Una soluzione alla carenza di strutture potrebbe essere l’affido?
Ci piacerebbe che lo fosse. Di fatto le famiglie affidatarie sono poche, soprattutto quelle che vogliono prendersi cura di bambini più grandi. Penso a una ragazzina di 17 anni che fa parte di un nutrito gruppo di figli che la madre ha venduto a famiglie diverse. Lei vittima di abuso grave e maltrattamento aveva 14 anni quando è entrata in casa famiglia. All’epoca voleva una mamma che le desse in biberon, perché di fatto non l’aveva mai avuta. Non si è trovata nessuna famiglia che la adotti e oggi la casa famiglia dove è ospitata rischia di chiudere.
Eppure quello dell’affido quando viene utilizzato è un sistema che funziona meglio di altri: penso ad un bambino che è andato in affido ad una bella famiglia con altri due figli e dopo 2 anni il giudice ha proposto l’adozioneche è pienamente riuscita.
Il suo gruppo si occupa anche di fallimenti adottivi?
I genitori vogliono bambini piccoli e poco traumatizzati. Mentre bisognerebbe avere il coraggio di dire che tutti i bambini adottabili sono danneggiati poiché hanno vissuto la rottura dei legami primari. I fallimenti adottivi si verificano molto spesso quando si tratta di adozioni internazionali; in effetti le realtà mediatrici non sempre sono professionali e selezionano con accuratezza le famiglie.
Ci è capitato di fare interventi di psicoterapia per situazioni traumatiche gravi e croniche di bambini che non hanno trovato una coppia adottiva nel paese d’origine e sono stati già istituzionalizzati in patria, poi sono stati adottati in Italia e infine sono stati rimessi in comunità qui da noi perché i genitori adottivi non erano incapaci di prendersene cura. Penso alla storia di due bambine con meno di 10 anni del sud America adottate da una coppia campana. A causa della loro gravissima inadeguatezza le bambine gli sono state sottratte e sono state messe in casa famiglia dove sono da tre anni. Il pensiero delle bambine oggi è: “Noi avremmo voluto una famiglia, ma poiché non l’abbiamo avuta significa che non siamo amabili. Per noi non c’è speranza”. Una delle ragazzine ha detto: “Il giudice non poteva capire prima che la coppia che ci ha adottato non era adeguata?”
La violenza sulle donne è in aumento, lo è anche quella sui loro figli?
Non credo che ci sia un aumento della violenza, quanto un aumento di conoscenza del fenomeno e dei casi. La violenza domestica è la prima causa di invalidità per le donne tra i 16 e i 44 anni. In quella fascia di età, tantissime donne sono madri e i loro figli in alcuni casi sono vittime di violenza diretta e abusi sessuali. Ma in tutti i casi di violenza subita dalla madre i bambini sono vittime di violenza assistita, violenza che provoca in se un grave trauma. Di questo tipo di violenza si parla ancora poco.
Alessandra del Giudice